giovedì 19 luglio 2012



Gelida sera piega il capo mio dolente
adombrato dal ginepro ogni pensiero
al lutto schiuso.
Volgo al sonno, all’occhio turgido
al mostruoso seno dal nero latte che nutre.

Sono il dirupo, il Padre, il veliero, gabbiani.
Sono tutti morti i miei compianti fratelli.
La storia è lago dove affogano uno ad uno.

Chi ritrasse la mano lasciò a macerare lingue nel vino.
Abbandonò il figlio suo, già gonfio di sangue
tra i denti rotti, e corpi fatti a pezzi.

giovedì 12 luglio 2012



Oggi in un giorno come ieri
divampa il fuoco sotto la torba
e scambio la brezza
per il muto parlare.

Ed osservo il vostro fare.

martedì 10 luglio 2012

venerdì 6 luglio 2012



Oggi è il giorno dei ricordi che bruciano
tra le sottili tempie alla notte roventi
e la pelle annerita all'aria della sera
e il carbone che il dolore spella
come chi fosse arso
dal proprio rovente tomento
e sulla sabbia attende
lasciando la stretta, lasciandolo andare.

Ed è il tuo nome segreto ancora
che è chiamato dal corpo mio intero
ed il pianto del mio cuore rigonfio
mare all'imbrunire perduto
tiene saldo il tuo viso
tra strette mani
che sanno
di dover abbandonare anche questo sogno d'amore.

Resta sul tavolo ad appassire una rosa
come l'ultimo bacio ancora
che intimo avremmo
dovuto scambiarci.




martedì 26 giugno 2012



Davanti alla tua luce ho portato i miei figli arrabbiati
empii e superbi
e chi ancora avaro d'amore rinsecca
e chi nel fango ghiacciato dalla colpa contorto
e chi rimastica in bocca la bile
fra denti scheggiati.

Od impazienza si tormenta le dita spezzate
e chi sbuffa e quindi predica
quanto dai simili duramente imparato.

Tutti loro chiassosi, cani impazziti in muta violenta.

La compagnia delle mie nere passioni
m'assedia nella terra senz'ombra
dove l'anima mia s'è perduta.


mercoledì 6 giugno 2012




Per quanto posso sopportare ancora
questo insano dolore
che s'aggrappa all'insensibile polso del poeta
che per un giorno da Mistico ha veduto.

Se solo di matematica si trattasse
o musica d'intelletto, ragionato
o traiettorie del pensiero più sottile.

Ma è di Fede il nettare alla sorgente infuocata
la cui strada è preclusa al viandante assetato.

L'invito è lasciare quanto esaspera il domani.


giovedì 24 maggio 2012



Ogni passo è in questo mondo
scelta e pianto
e ciascun gesto s'addensa
dal respiro precedente
che ha scelto e pianto.

E dimentico,
nostalgica vita rimpiange
come se due fossero le fauci
e due ancora i desideri
e doppi i figli che ancora figliano.

Il mio presente fra il deciso patire.

Ed ogni fuga ciascuna la pena raddoppia
come teste di serpe
e biforcute lingue che l'aria saggiassero.

Il tuo tornare a ragione
quotidiano e sicuro
che assopito chiamasti
il tuo sogno d'amore.


martedì 22 maggio 2012



E' un filo di fumo d'incenso
che annebbia la dimora riflessa
questa mia mente inquieta.

Come petalo nella fossa che l'occhio inganna
scambiando sé per il fiore
che la veduta occupa tutta.

Come se fosse
che le celate meraviglie
alla schiusa s'aprono sul mondo del pensiero
attraverso i sensi ristretti
e poco più oltre
attraverso il cristallo
dove ciascuna creatura è immobile
come nuvola
o suono
che segue il mio respiro
e che ancora ha da venire e che mai è andato perso,
ed il ritmo, e tacendo
e le albe e i tramonti tutti.

Come l'unica danza che da sempre avesse e per sempre danzasse.



sabato 12 maggio 2012



S'apre in me la forza che metalli separa
e nobili dai densi e neri effluvi saturnali che narici brucia
misura e discrezione all'insaziabile ambizione origlia.

Dalla fluidifica acqua che è la cheta pazienza
il lunare passare che passione al giogo soggioga
e corpo alla brace mite s'accosta e lento s'annerisce.

E' la promessa di un meriggio assolato
che è stato prima Sole di primo mattino
dove io e te saremo sciolti, e il bacio
e bianche nozze
in cui io non sarò
che te e te
in me diverrò in unico atto
ed ogni gesto un disinteressato dono ai miei fratelli.

lunedì 7 maggio 2012



Tre nere poesie quando il nero è più nero del nero (2007).


I.

Umida la terra in bocca
alla mano gelido il grido come frutto s’aggrappa.
Sera d’argento il campo brilla.
Fredda è la luna che feti sputa
quando di vita sbocciano i fiori sepolti.

Neri occhi alla mano protendono
un tenero abbraccio il veleno dell’ambra
cola ancor oggi sulle labbra sfiorite
un bacio s’affaccia inutilmente prezioso.
Tornano i giorni del perduto amore
portandosi dietro un richiamo di menta

quando sarà poi la morte, a nutritci entrambi.


venerdì 27 aprile 2012





E' arrivato per me il momento di immergermi
nel lago alla sera e silenziosamente sparire
alla vostra bramosia.
All'abbaiare delle vostre incuriosite menti
lasciando un fidato fantoccio sulla rena assolata
a schivare la vostra guerra dei saperi.

In un'ora che non desti il sospetto
ma solo il paragone tra gli anni trascorsi
racconti della mia spoglia partenza,
caduta o discesa
quando poi sia già divenuto memoria irraggiungibile.

Rischiara il tuo dolce sorriso l'alba più dell'alba
a cui il mio sonnolento occhio s'apre come rosa
che schiude fiduciosa il cuore all'aria del mattino.

Questa menzogna è protezione.
Non partecipare quanto ho già veduto.





sabato 21 aprile 2012

Un'altro sogno è passato



Un'altro sogno è passato sul vento
della bella stagione.
Un'altro racconto da dimenticare danzando
e le tue mani tra le mie.

Porta l'acqua al giglio la pazienza
che lenta al seno della madre matura
e tutta intorno la vita chiede al mio sguardo
di posarsi sull'ala dell'amato fratello.

Su questo brullo campo inumidito solo
dal veleno delle mie feroci passioni
e il fresco respiro
di un viandante che sorride ai suoi sogni.

Questa nera pioggia di denti che scintilla
sotto la notte della luna
come lama che cercasse
la mia gola d'argento.

Ho abitato luoghi inattesi tra la malva e il sambuco
la mia venuta è in solitudine per poi incontrarvi.


lunedì 16 aprile 2012




Il freddo bacio della fossa ricorda
della solitudine l’abbraccio che alla gola mira
e dal petto scalcia come animale la vita

coltivata alla catena di notte e ancora giorni
finchè sia cosparso di miseria e rintocchi vani.
La mia bocca rotta su cui saliva secca.

È stata un’estate spietata di un accecante color arancio.
All’autunno poi le foglie ingiallite, nell’animo
lo stesso colore dell’ambra. 

Chi sono. Porta alla mente un albero cavo
in equilibrio tra pozze di scuro fango
e questa nuvola è stata pietra
come io stesso mare e altre cose sparse.

domenica 8 aprile 2012


Due poesie al Nero

I.

Sepolto sotto indaco cielo che invita
alla vita consumo quotidiano dolore.
Purpurea nostalgia di miti stagioni.
Sono venute primavere ed altre inverdiranno.

Maschere che porto riflettono la fossa
dove risuona la voce nell’antro che mi è gola.
Duole sul capo la notte trascorsa, passata tra i grilli
e storie di pesci.

La notte scava la mente,
quando ormai vivere è diventato pesante.


domenica 1 aprile 2012

Per questa scintilla imprigionata



Per questa scintilla imprigionata
nella creta al centro dell'affannato petto
che il viandante si mette sul cammino
sulla strada del dubbio su come abbandonare
ogni sua propria veste in cui s'impiglia,
e che s'impone di conoscere come amante
al cui cuore nessuna donna nega un malizioso sguardo.

E l'interesse verso la città che s'è prefisso come ultima dimora
e gli enigmi da sciogliere, i segreti, gli ostacoli con cui provare la sua forza.

E' soffio d'uomo sulla fiamma eterna
che poi dal fango nero si leva come rosa nel fresco roseto
e rossa argilla indurita dalla fiamma stessa.

Che fu scintilla
così come gli astri sono
scintille nei cieli.


venerdì 23 marzo 2012

Sono venuto senza un volto




Sono venuto senza un volto
e mi hanno dato un viso in cui mi riconosco
Un nome a cui rispondere
e pensieri da stendere sulla fresca sorgente.
Con la creta in sonno ho fatto un guardiano
e l'inseguirsi dei sogni che soffoca
il respiro gentile che neppure più sento.

Condannato al ricordo dell'istante trascorso.
  
Ma t'ho vista svelata nuda
dalla luce dell'alba bagnata
e le mille e una foglia d'oro
con leggera forza dal cielo
cadere.

E con le mani vuote, finalmente.


giovedì 22 marzo 2012

Ballata degli Arcani Maggiori

0
Sono vento che tra dita di alberi spogli    
al sordo sibila e alle more di pelle riveste le spine

Tra il piegarsi antico il salice si rispecchia
nel mio vuoto cuore da cui senza gambe soffio

Il cuore chiuso a coppa dalle mani che hanno preso il volo

1     Diretto da ciechi potenti venti          
nube rigonfia del mio sesso tuona
per terre spoglie i miei passi lenti
Sulle labbra è sapor di madreperla.
    Fame asciutta vuota la vagina                   
china la lupa il capo d'argento
s'infrange sul pelo raggio di luna
Di latte assetato il primo vagito.
    In me piange tenue vento rosato                
al mattino sussurrare di labbra 
puerile il mio seno abbozzato
Custode del sogno di quando sarò madre.
4     Sprofondar in consunta carne ebbra         
pesa la spada incline al perdono
possente forza che domina l'ombra
Come dopo la pioggia l'odor di terra.
    Nel varcar la porta del biancospino   
profumano i silenzi profondi
nel porto giungon spezie da lontano
Sono nervi le sartie che tendon vele.
6     Spiegar di mille canti nel campo di   
lavanda, il viso mio è l'argilla
lento sprofondar tra melma dei mondi
L'occhio fisso sul centro della ruota.
7     Inumidita nella bocca la zolla        
germogliati semi del mio pensiero
Misurata distanza dalla folla
Dal cielo il cader di lacrime di ghiaccio.

venerdì 16 marzo 2012

Tante sono state



Tante sono state le guerre che ho visto
e tante le morti e poi le albe. Ed ogni volta
ho imparato.

E le famiglie che mi hanno accudito e le mie caritatevoli madri a cui
rivolgo gratitudine di figlio adulto e profondo amore
e altre famiglie mi hanno cacciato, lontano dai loro cuori di pietra
e lacrime di rabbia.
E le distrazioni da cui sono stato rapito per cui ho venduto e vinto e fatto soffrire.
E i tramonti in oriente e i vagabondaggi del Giappone dove ho visto gli aironi
e i mari solcati sulle navi dalle vele gonfie di vento, e le giornate di bonaccia
in cui impazzivamo di sete
e le nostre paure da esorcizzare con un cameratismo selvaggio.

E gli otri di olio, di vino rubino ancora acceso dal sole e sabbia e i tessuti speziati.
E i principî che tagliano la lingua, le lacrime, il loro vero peso sul cuore. Il tribunale
che m'ha condannato e la cecità del primo boia, la schiettezza di chi m'ha torturato
per aver ordito alle spalle del loro feticcio.
E le bocche che ho cucito con del grezzo filo d'orbace provandone piacere
per non sentire più la verità frammischiata con la loro santa saliva
che a me invece ricordava le capre.

E i muscoli recisi per saggiarne la tempra. Le pitture selvagge con cui
scagliavamo il nostro profondo dissenso e dicevamo no a tutto.
E schernivamo ad ogni occasione ogni essere umano e la follia delle masse dormienti.
Le sigarette fumate al tramonto davanti al porto di Orano. Il sesso vissuto e quello raccontato
e la nostalgia dei gabbiani in volo verso Nord e il loro misterioso richiamo.
 
E le tenaglie scarlatte con cui ho attraversato il nero mare dell'oscuro periodo.
Il bruciare della candela alla cui fiamma la cera sciolta avvolge il suo silente lamento
di pesce. Come neve bollente. Come se le mani calde soffocassero una passione che non si vuole donare
ma è presa con forza.

E i libri scritti a mano, e l'esilio, e la ferocia di cui sono stato capace.
I miei denti hanno affondato nelle carni di bianche cosce sudate e i rimorsi che sbarrano gli occhi
e ardono in gola.
Ed i miei cento figli. E chi mi ha amato e chi ripudiato.
Chi ancora con gli occhi secchi davanti alla mia bara e le labbra serrate
mentre regge la madre. E chi invece in un'altra città mordeva il rancore.
E le mie dolci bambine
cui carezzo ora il tenero viso portandolo al petto
e che ho abbandonato al destino della vita.

E le donnacce e le sgualdrine, e il vino, e i giochi con cui ho distrutto la fiducia degli amici.
I tradimenti, le suore, la puttana e la stanza in cui piange da sola a ripetersi che domani andrà meglio
e in questo modo lasciarsi morire.

E gli ospedali ricolmi di dolore e arti amputati, e la trincea, l'odore d'urina e la puzza
di merda. Un fratello da amare, una casa che m'aspetta.
Sono tornato come figlio ma più grande di mio padre.

E le grandi città e la pazzia di quel tempo che ancora scintilla
come luce sbiadita di un faro lontano perso nella nebbia del tempo.
E di tutti i lutti quelli senza una causa.

E le foglie appassite il cui ambrato colore nell'umida terra si fonde in autunno.
E poi il gelo degli inverni.
Il bestiame affamato e la carestia di dicembre. Lo scoppiettare della legna all'aperto
vicino alla grande quercia sotto un pallido sole
e mio nonno che tace e non maledice
perchè accetta la vita che porta con sè anche la morte.
  
E lo strazio di mia madre nella città bombardata quando le truppe dirigono
la paura delle masse.
E poi i fuochi che si alzano imponenti sulle nubi
e il riverbero del piombo sul rosso cielo di Varsavia.
E il ferro, e il porco sorriso del denaro e i suoi schiavi e dei padroni che spartiscono le terre.
E come soldato ho il viso scarno e gli occhi cavi e volo su Dresda
e sono stordito a Kadesh, pazzo alle porte di Hattin,
come disertore decimato al confine con l'Austria. Generale di pezza o povero cristo.  

E i sorrisi inaspettati del bambino
di cui son figlio in un prato assolato.
Taccia la mia stanca bocca e sia rapito
il mio essere allo sbocciare della solitaria rosa.

E le perle, i tesori tutti e il profumo del mare
e gli abbracci di primavera e i richiami dell'oceano e la sua possente risacca di sale.
E le notti d'amore.
E il cielo e le stelle fiammeggianti. La loro antica lingua che solo ora comincio a sentire.

La locanda 

L'essere umano è una locanda,
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.

Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,
come un visitatore inatteso.

Dai il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!
Anche se è una folla di dispiaceri
che devasta violenta la casa
spogliandola di tutto il mobilio,

lo stesso, tratta ogni ospite con onore:
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.

Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,
vai incontro sulla porta ridendo,
e invitali a entrare.

Sii grato per tutto quel che arriva,
perché ogni cosa è stata mandata
come guida dell'aldilà.

[ Gialāl ad-Dīn Rūmī ]