lunedì 26 dicembre 2016

Leonardo da Vinci - La scapigliata


Divenni poi d’un tratto così immenso
che a guardar da fuori sempre
compreso in essa mi trovai.
     Cedetti cento vite
al suolo duro della prova
d'inganno e seduzione
il cui sigillo cela,
della vita fugace
il suo veloce epitaffio,
per sparir poi dove proviene
ogni momento apparso, la storia di pietre
e monumenti e l’insano manifesto numerato.
     Ma così immenso, largo
così da contenere i soli delle galassie tutte,
fiorenti, di un fuoco sì fresco
come candide dita d’una mano
che in aprile, con labbra ancor tiepide sfiorai
per scordarmene poi nei giorni di lutto senza fiato
di festa furente, nelle sere in cui credetti d’esser ascoltato
ed in me, riflettei
sinceramente vivo. Ma invero distante nel reale.
     Un sorriso d’amore,
come pioggia d’agosto l’inaspettato tuonar
ovunque scroscia,
per rimbombar sì tosto a veleggiar
oltre questa e quell’altra stella,
abbandonar il mite porto
da colonne difeso, a costo della vita protetto,
ed oltre ancora mi mossi, senza l’artiglio del peso,
ed ancora più oltre
libero, d’un sentir d’ambrosia e vino nella gola cocente
in un tripudio di gioia che gli occhi m’inebria
ed il cuore infiamma. Lo scattar dei muscoli di Areione,
ed ancor più oltre, ancora
ed ancora
oltre, fin oltre
i firmamenti quando il tempo si dissolve
nella veste della coscienza
che la mente assordata slega
col silenzio che ai miei nomi allude,
esperta cortigiana nell’arte dell’amore,
ma essa quaggiù tace, quell’attimo giusto prima
che la creta l’avvolga
ed in scrittura si conosca.
     Cieca, dirò, come folgore annerisce in cenere
le anguste passioni,
umane, la mia vile vita meschina tutta
e le leggi mortali,
e la legge divina,
quando umiliato piansi
gli inverni innevati a cercar conforto
tra i grossi seni di una locandiera
ed alle prime luci di primavera mi ribellai
sentendo già ormai vecchie le antiche afflizioni,
divenir di dolorosa carne in terra.

     E così come musica, che tutto lo spazio prende
un profumo che non ha centro nè padre
ogni fiore lambisce,
dalle verdi timide foglie si leva la rugiada ed il canto
fin sopra l’aria, i mari, sopra le nubi
fin oltre i campi ed il sole e gli astri lucenti.
Una danza di fiamme e scintille nella volta dei cosmi, infiniti
la musica colora ogni piccola cosa,
si posa e dissolve, vivifica e si spegne.
     E rubini, giade d’un verde smeraldo, iracondi rubini
d’un rosso di sangue nello spazio ch’io or sono,
e già non più del mondo partecipe
cui parola mi lega, sulle ali m’involo
per terre lontane, un’oceano silente
ma pur vivo nella forza e sapienza, silente
l’eterna natura,
dimora delle solitarie armonie,
nei volteggi d’una così immensa sinfonia
che in me si fa vita ed amore paziente
gioioso, inascoltato.
     Così immenso, da non esser più
nient’altro che
impronunciabile bellezza.

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