venerdì 23 marzo 2012

Sono venuto senza un volto




Sono venuto senza un volto
e mi hanno dato un viso in cui mi riconosco
Un nome a cui rispondere
e pensieri da stendere sulla fresca sorgente.
Con la creta in sonno ho fatto un guardiano
e l'inseguirsi dei sogni che soffoca
il respiro gentile che neppure più sento.

Condannato al ricordo dell'istante trascorso.
  
Ma t'ho vista svelata nuda
dalla luce dell'alba bagnata
e le mille e una foglia d'oro
con leggera forza dal cielo
cadere.

E con le mani vuote, finalmente.


giovedì 22 marzo 2012

Ballata degli Arcani Maggiori

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Sono vento che tra dita di alberi spogli    
al sordo sibila e alle more di pelle riveste le spine

Tra il piegarsi antico il salice si rispecchia
nel mio vuoto cuore da cui senza gambe soffio

Il cuore chiuso a coppa dalle mani che hanno preso il volo

1     Diretto da ciechi potenti venti          
nube rigonfia del mio sesso tuona
per terre spoglie i miei passi lenti
Sulle labbra è sapor di madreperla.
    Fame asciutta vuota la vagina                   
china la lupa il capo d'argento
s'infrange sul pelo raggio di luna
Di latte assetato il primo vagito.
    In me piange tenue vento rosato                
al mattino sussurrare di labbra 
puerile il mio seno abbozzato
Custode del sogno di quando sarò madre.
4     Sprofondar in consunta carne ebbra         
pesa la spada incline al perdono
possente forza che domina l'ombra
Come dopo la pioggia l'odor di terra.
    Nel varcar la porta del biancospino   
profumano i silenzi profondi
nel porto giungon spezie da lontano
Sono nervi le sartie che tendon vele.
6     Spiegar di mille canti nel campo di   
lavanda, il viso mio è l'argilla
lento sprofondar tra melma dei mondi
L'occhio fisso sul centro della ruota.
7     Inumidita nella bocca la zolla        
germogliati semi del mio pensiero
Misurata distanza dalla folla
Dal cielo il cader di lacrime di ghiaccio.

venerdì 16 marzo 2012

Tante sono state



Tante sono state le guerre che ho visto
e tante le morti e poi le albe. Ed ogni volta
ho imparato.

E le famiglie che mi hanno accudito e le mie caritatevoli madri a cui
rivolgo gratitudine di figlio adulto e profondo amore
e altre famiglie mi hanno cacciato, lontano dai loro cuori di pietra
e lacrime di rabbia.
E le distrazioni da cui sono stato rapito per cui ho venduto e vinto e fatto soffrire.
E i tramonti in oriente e i vagabondaggi del Giappone dove ho visto gli aironi
e i mari solcati sulle navi dalle vele gonfie di vento, e le giornate di bonaccia
in cui impazzivamo di sete
e le nostre paure da esorcizzare con un cameratismo selvaggio.

E gli otri di olio, di vino rubino ancora acceso dal sole e sabbia e i tessuti speziati.
E i principî che tagliano la lingua, le lacrime, il loro vero peso sul cuore. Il tribunale
che m'ha condannato e la cecità del primo boia, la schiettezza di chi m'ha torturato
per aver ordito alle spalle del loro feticcio.
E le bocche che ho cucito con del grezzo filo d'orbace provandone piacere
per non sentire più la verità frammischiata con la loro santa saliva
che a me invece ricordava le capre.

E i muscoli recisi per saggiarne la tempra. Le pitture selvagge con cui
scagliavamo il nostro profondo dissenso e dicevamo no a tutto.
E schernivamo ad ogni occasione ogni essere umano e la follia delle masse dormienti.
Le sigarette fumate al tramonto davanti al porto di Orano. Il sesso vissuto e quello raccontato
e la nostalgia dei gabbiani in volo verso Nord e il loro misterioso richiamo.
 
E le tenaglie scarlatte con cui ho attraversato il nero mare dell'oscuro periodo.
Il bruciare della candela alla cui fiamma la cera sciolta avvolge il suo silente lamento
di pesce. Come neve bollente. Come se le mani calde soffocassero una passione che non si vuole donare
ma è presa con forza.

E i libri scritti a mano, e l'esilio, e la ferocia di cui sono stato capace.
I miei denti hanno affondato nelle carni di bianche cosce sudate e i rimorsi che sbarrano gli occhi
e ardono in gola.
Ed i miei cento figli. E chi mi ha amato e chi ripudiato.
Chi ancora con gli occhi secchi davanti alla mia bara e le labbra serrate
mentre regge la madre. E chi invece in un'altra città mordeva il rancore.
E le mie dolci bambine
cui carezzo ora il tenero viso portandolo al petto
e che ho abbandonato al destino della vita.

E le donnacce e le sgualdrine, e il vino, e i giochi con cui ho distrutto la fiducia degli amici.
I tradimenti, le suore, la puttana e la stanza in cui piange da sola a ripetersi che domani andrà meglio
e in questo modo lasciarsi morire.

E gli ospedali ricolmi di dolore e arti amputati, e la trincea, l'odore d'urina e la puzza
di merda. Un fratello da amare, una casa che m'aspetta.
Sono tornato come figlio ma più grande di mio padre.

E le grandi città e la pazzia di quel tempo che ancora scintilla
come luce sbiadita di un faro lontano perso nella nebbia del tempo.
E di tutti i lutti quelli senza una causa.

E le foglie appassite il cui ambrato colore nell'umida terra si fonde in autunno.
E poi il gelo degli inverni.
Il bestiame affamato e la carestia di dicembre. Lo scoppiettare della legna all'aperto
vicino alla grande quercia sotto un pallido sole
e mio nonno che tace e non maledice
perchè accetta la vita che porta con sè anche la morte.
  
E lo strazio di mia madre nella città bombardata quando le truppe dirigono
la paura delle masse.
E poi i fuochi che si alzano imponenti sulle nubi
e il riverbero del piombo sul rosso cielo di Varsavia.
E il ferro, e il porco sorriso del denaro e i suoi schiavi e dei padroni che spartiscono le terre.
E come soldato ho il viso scarno e gli occhi cavi e volo su Dresda
e sono stordito a Kadesh, pazzo alle porte di Hattin,
come disertore decimato al confine con l'Austria. Generale di pezza o povero cristo.  

E i sorrisi inaspettati del bambino
di cui son figlio in un prato assolato.
Taccia la mia stanca bocca e sia rapito
il mio essere allo sbocciare della solitaria rosa.

E le perle, i tesori tutti e il profumo del mare
e gli abbracci di primavera e i richiami dell'oceano e la sua possente risacca di sale.
E le notti d'amore.
E il cielo e le stelle fiammeggianti. La loro antica lingua che solo ora comincio a sentire.

La locanda 

L'essere umano è una locanda,
ogni mattina arriva qualcuno di nuovo.

Una gioia, una depressione, una meschinità,
qualche momento di consapevolezza arriva di tanto in tanto,
come un visitatore inatteso.

Dai il benvenuto a tutti, intrattienili tutti!
Anche se è una folla di dispiaceri
che devasta violenta la casa
spogliandola di tutto il mobilio,

lo stesso, tratta ogni ospite con onore:
potrebbe darsi che ti stia liberando
in vista di nuovi piaceri.

Ai pensieri tetri, alla vergogna, alla malizia,
vai incontro sulla porta ridendo,
e invitali a entrare.

Sii grato per tutto quel che arriva,
perché ogni cosa è stata mandata
come guida dell'aldilà.

[ Gialāl ad-Dīn Rūmī ]