lunedì 28 gennaio 2013




Ciò che all'amaro naso olezzo arriccia
giacché di Fiera è questa natura di cui io parlo
chiama e conduce i miei talenti belli
verso luoghi oscuri tra passi insani.

Con ambo i piedi in questo fango affondo
superando fauci e artigli gravi
che strappano al sogno la coscienza spinta
giù nel sonno da cui m'affranco.

Entro.

A cavar fuori la pietra
come drappi di stabili frammenti, e diamanti
su cui il pensier la propria morte teme
sicché o l'uno o l'altro
ancor lei si racconta, e crede
ma ora tace.


O come gatto che per amor d'olezzo
il canto suo d'amore canta e ne è cantato
oppure appena solo udito
nella calma visione che dentro me or s'apre
e l'udire schiude, appena
da ogni gesto, il fondo del cuore
o presso la dimora in cui l'assente è il tempo.

Quel tanto poi che basta
affiché gaiezza rimanga
nel cielo mosso
che il cielo stesso muove, ora
e nulla ancora
ma dall'amato adesso
amaro a vita torno
e riparto
smarrendo in caduta l'amor di vita,
e nella corrente ancor perdutomi
tra bestia e Uomo
la cui vita vissuta tra Odisseo e celare
nello scoprir stagioni che dimentico al ritorno
l'ondata di risacca al mantenermi
mi ricordo.

E d'ogni strada la natura di marzo
irrompe alle narici dall'uvaggio consunte
un fioco lume la natura d'ottobre
e fermi e nudi incontro al vento che sferza si resta
ogni stagione del freddo d'inverno.




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